Lettura del paesaggio

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Le navi in secca con la prua verso una sconfinata distesa di sabbia è l’incongruenza immediatamente percepibile che caratterizza il paesaggio del deserto di Aralkhum. L’associazione dei due segni così palesemente in contraddizione tra loro è il frutto della drammatica storia che ha portato alla scomparsa del lago d’Aral, forse il maggior disastro ambientale, ma anche socio-economico, mai causato sulla Terra dall’irresponsabilità dell’uomo. Spinte dall’arroganza di poter disporre a piacimento del territorio, nel secolo scorso le autorità dell’allora Unione Sovietica decisero di interrompere il naturale approvvigionamento idrico del grande lago per sviluppare in ambienti semidesertici ad esso limitrofi la coltivazione intensiva di cotone. A supporto di questo intento, folle già di per sé, si adduceva il fatto che l’enorme distesa d’acqua era uno spreco, considerato letteralmente “uno sbaglio della natura”, a cui si poteva porre rimedio trasformandolo in un acquitrino da usare per la coltivazione del riso. Il risultato fu solo la totale distruzione dell’ecosistema lacustre, l’inquinamento irreversibile di migliaia di km2 di territorio, la scomparsa della florida economia delle comunità locali e la creazione di un sistema agricolo ambientalmente e socialmente insostenibile che si è basato per deceni su una vera e propria forma di schiavismo e resta tutt’ora a esclusivo beneficio di pochi.